La Diatto e
i Maserati. Con la presentazione al Salone di Milano del 1922 della Diatto Tipo
20, progettata dall’ingegner Coda, inizia la stretta collaborazione con i
fratelli Maserati, piloti e collaudatori nella preparazione della leggendaria
20 S. Viste le importanti affermazioni ottenute nelle competizioni da Alfieri
ed Ernesto, la Diatto, desiderosa di puntare ai Grand Prix internazionali per i
quali vige la formula dei due litri sovralimentati, commissiona ai fratelli
Maserati un progetto competitivo. Cuore della nuova vettura è un motore a 8
cilindri in lega leggera, con due assi a cammes in testa di 1.995 cc
sovralimentato. La nuova vettura fa il suo debutto al Gran Premio d’Italia del
1925, alla guida Emilio Materassi. Riappare nel 1926, modificata nella cilindrata
e con il marchio del tridente, confermando la sua sovrastante competitività con
le oltre cento vittorie conseguite negli anni successivi. Nasce così la
gloriosa casa automobilistica Maserati.
I fratelli Maserati: da direttori sportivi della Diatto, a
fondatori della casa del Tridente
Rodolfo Maserati, macchinista delle regie ferrovie a
Piacenza, sposa Carolina Losi trasferendosi a Voghera, in provincia di Pavia.
In una modesta casa alla periferia della città nascono, dal loro matrimonio,
sette figli maschi: Carlo nel 1881, Bindo nel 1883, Alfieri nel 1885 che muore
nei primi mesi di vita. Lo stesso nome viene imposto al quartogenito, che nasce
nel 1887. Lo seguono Mario nel 1890, Ettore nel 1894, infine Ernesto nel 1898.
A parte Mario, che trova nelle arti figurative il proprio
campo d’espressione, i restanti cinque fratelli mostrano da subito una forte
attrazione per la nuova scienza meccanica che si configura con l’evoluzione del
motore a scoppio. Tuttavia, sembra che Mario abbia contribuito nel 1926 a
definire lo stemma della marca, che rappresenta il tridente della statua del Nettuno,
simbolo di Bologna.
In ordine cronologico, è Carlo ad avvicinarsi per primo a
quella corrente rivoluzionaria che, incipiente alla conclusione dell’Ottocento,
condizionerà l’umanità nel secolo successivo. Le prime e autonome esperienze,
utopistiche quanto lo sono gli anni giovanili per il figlio di un modesto
ferroviere, lasciano posto a un periodo di apprendistato presso una fabbrica di
biciclette ad Affori, nella cintura di Milano. Geniale e intraprendente, a
diciotto anni progetta un motore monocilindrico da applicare a un velocipede.
Il fascino della motorizzazione sollecita intanto, oltre
l’euforia, l’investimento di capitali fino al momento dirottati in settori più
redditizi. L’opera di Carlo Maserati ottiene così l’appoggio concreto del marchese
Carcano, di Anzano del Parco nei pressi di Lecco. Dopo una breve
sperimentazione sulle strade della Brianza, le moto Carcano vengono portate in
corsa con buon successo dallo stesso Maserati a partire dal 1899. Questa fase
si conclude nei giorni 9 e 10 settembre 1900, con la duplice affermazione di
una HP 2¾ al Record dei 5 Chilometri e nel Circuito
Brescia-Cremona-Mantova-Verona-Brescia.
È per l’appunto in quest’ultima città in cui Maserati
suscita l’interesse di Vincenzo Lancia, che lo introduce alla Fiat, da poco
costituita e per questo piena di fermenti tecnici e sportivi, un’occasione da
non lasciarsi sfuggire. Malgrado le prospettive, l’organizzazione della Casa
torinese non soddisfa le ambizioni di Carlo Maserati, che nel 1903 passa alle
dipendenze dell’Isotta Fraschini come collaboratore tecnico e collaudatore.
Attratto irresistibilmente dalle corse, nel 1907 la
Bianchi gli offre l’occasione di svolgere una prolifica attività, che segue a
una ristrutturazione aziendale e all’assunzione del progettista Giuseppe
Merosi. Purtroppo le Bianchi deludono le aspettative e Carlo Maserati si
piazza nono alla Kaiserpreis nel Circuito del Taunus in Germania e settimo alla
Coppa Florio a Brescia.
Irrequieto e sempre teso al concreto, abbandona la
Bianchi e nel 1908 è meccanico sulla Lorraine-Dietrich di Vincenzo Trucco alla
Coppa Florio di Bologna, quando da mesi è nominato direttore generale della
Junior a Milano, una piccola casa nata dal ceppo rigoglioso della famiglia
Ceirano. Nel tentativo di far decollare una produzione stagnante, Carlo
Maserati si dedica allo studio di una nuova vettura ma nel 1910, colpito da
grave malattia, scompare prematuramente.
Il più sollecito emulo di Carlo, per una certa affinità
di temperamento e malgrado la giovane età, è Alfieri. Nel 1903, dopo una prima
esperienza presso un’officina privata, viene assunto all’Isotta Fraschini a
Milano grazie all’appoggio del fratello Carlo. Estroverso e di carattere
accattivante, ha ben presto la possibilità di emergere come tecnico e come
pilota. I suoi primi approcci col mondo delle corse avvengono nel ruolo di
meccanico a fianco di Trucco, ma nel 1908 la Casa gli affida una vettura del
tipo FE di 1,2 litri, per il Gran Premio delle Vetturette a Dieppe, che Alfieri
porta al 14º posto nonostante l’inceppamento del carburatore.
La somma delle sue qualità gli vale nel 1911 la nomina di
delegato tecnico e il trasferimento, col fratello Ettore, prima in Argentina e
successivamente a Londra. L’avventura fuori dai confini nazionali è comunque di
breve durata, poiché nel 1912 i due fratelli sono inviati a Bologna per
organizzarvi l’officina di assistenza. Ormai sicuro delle proprie capacità, nel
1914 Alfieri abdica dalla condizione di salariato per iniziare un’at-tività
autonoma.
Con questa prospettiva apre un’officina in un locale
d’affitto in via de’ Pepoli a Bologna, nella quale ha origine l’opera della
Società Anonima Officine Alfieri Maserati. L’inizio della prima guerra mondiale
viene a turbare i programmi di Alfieri che, unitamente al fratello Ettore, è
chiamato a vestire la divisa militare. Poiché Bindo lavora all’Isotta Fraschini
come collaudatore, la piccola officina di Bologna, che impegna cinque operai,
passa sotto la gestione di Ernesto, ancora giovanissimo. Non appena assolto
all’obbligo militare con la guerra ancora in corso, Alfieri intraprende a
Milano una nuova attività, la costruzione di candele d’accensione con isolante
di mica che, quantunque di carattere secondario, riveste un ruolo di un certo
rilievo.
Al termine del conflitto torna al primo amore, alle
automobili e alle corse, sempre fiancheggiato da Ettore ed Ernesto. Con le
favorevoli prospettive che si vanno aprendo alla motorizzazione, i Maserati si
trasferiscono in locali più adeguati, in frazione Alemanni alla periferia
orientale di Bologna, località più nota come Ponte Vecchio.
Lo stabile, che si erige su due piani, è in origine una
fabbrica di damigiane col piano terra leggermente rialzato e con tre grandi
vetrine sulla via Emilia. Questi locali sono adibiti a magazzino, mentre al
piano superiore vengono ricavati gli uffici e l’abitazione dei Maserati.
L’officina si sviluppa sul retro con un modesto capannone che lascia ampio
spazio a un cortile interno, nonché a un orticello al quale accudisce
gelosamente papà Maserati. In questo complesso, tutto sommato limitato, viene
conglobata anche la fabbrica di candele, che tuttavia conserva a Milano la sede
concessionaria gestita da Amedeo Polacchini. Al Ponte Vecchio s’intensifica
l’attività di trasformazione delle vetture di serie, adeguandole all’impiego
agonistico.
Queste lavorazioni rispondono alle richieste dei clienti,
ma anche alle ambizioni di Alfieri che avverte più che mai un forte desiderio
di partecipazione alle corse. Sebbene si guardi con molto interesse alla produzione
Isotta Fraschini, non vi sono preclusioni per altre meccaniche. Al Circuito del
Mugello del 1920, seconda corsa italiana del dopoguerra, Alfieri Maserati
partecipa infatti al volante di una Nesselsdorf. Questa quattro cilindri di
2.562 cc fa parte di un lotto di residuati bellici rilevato dai Maserati. La
precaria condizione di questa macchina, sottolineata dalle asperità della
corsa, costringe Maserati al ritiro, al pari di altri cinque concorrenti della
stessa classe.
Dopo un momentaneo interesse per una SCAT di tre litri in
occasione della Parma-Poggio di Berceto del1920, Alfieri Maserati termina
quella che potrebbe definirsi la prima Diatto Maserati. È una poderosa vettura,
nata dall’adattamento di un telaio Diatto di produzione a un motore Isotta
Fraschini a quattro cilindri di 6.330 cc (alesaggio e corsa mm 120x140). Si
tratta quindi di un ibrido, uno dei tanti che appaiono nelle corse di quegli
anni, come conseguenza dell’assenteismo delle case costruttrici e della
contemporanea disponibilità di possenti motori, spesso di origine aeronautica.
Con questa vettura, ufficialmente definita Tipo Speciale,
Alfieri Maserati partecipa con assiduità alle corse del 1921 a partire dal
Circuito del Mugello del 24 luglio, dove si piazza secondo di classe e quarto
assoluto. A quasi un mese di distanza, col fratello Ernesto come meccanico, si
aggiudica la Susa-Moncenisio battendo la Peugeot di Samy Réville.
Il punto focale della stagione è comunque la Settimana di
Brescia, che nel complesso delle sue manifestazioni deva segnare una grave
sconfitta per l’industria italiana. Alfieri Maserati partecipa al Chilometro
Lanciato, prova di qualificazione per il Gran Premio Gentlemen, la corsa che
vede il confronto tra l’Alfa di Campari, la Mercedes di Masetti che si
aggiudica la prova, la Fiat di Niccolini e le prodezze della baronessa Maria
Antonietta Avanzo con l’Alfa ES sport.
Alfieri Maserati è altrettanto brillante conquistando il
quarto posto assoluto e la vittoria di classe. Per l’occasione l’auto è munita
di ruote motrici gemellate e pneumatici sperimentali della Società Gomme
Imperforabili di Firenze.
La macchina viene ancora migliorata per le corse del 1922
col passaggio alle gomme Goodrich, al Magnete Marelli in sostituzione dei due
Bolis, col potenziamento dell’impianto frenante che, con la leggerezza del
complessivo, rappresenta il punto di forza di questa vettura. Alfieri ed
Ernesto, una coppia al momento indissolubile, s’impongono in maniera perentoria
nel Circuito del Mugello, polverizzando tutti i primati e impartendo una dura
lezione agli uomini e alle macchine più quotate del momento. A questa clamorosa
vittoria seguono in rapida successione quelle della Susa-Moncenisio e della
Aosta-Gran San Bernardo, affermazioni avvalorate da nuovi primati.
Questa serie di successi viene a confermare le capacità
tecniche e di guida di Alfieri Maserati, tanto da sollevare il concreto
interesse della Diatto, che al Salone di Milano del 1922 presenta il Tipo 20,
progettato dell’ingegner Coda con il supporto del signor Lardone. A questo
punto si stabilisce un rapporto di collaborazione con Alfieri Maserati, che
prevede il suo intervento come pilota e collaudatore nella preparazione del
Tipo 20 S.
Per accelerare il lavoro in vista del Gran Premio
d’Italia del 1922, Alfieri ed Ernesto si trasferiscono a Torino. La massima
corsa italiana, disputata sotto una pioggia torrenziale, è perseguitata dalla
sfortuna. Le Diatto di Guido Meregalli e di Alfieri Maserati sono costrette al
ritiro: la prima per avaria, la seconda per un’uscita di strada.
Malgrado l’insuccesso, la Diatto giudica positivo
l’intervento e il 22 ottobre Alfieri Maserati porta al successo una tre litri
quattro cilindri al Gran Premio d’Autunno a Monza, precedendo l’Alfa Romeo RL
di Sivocci e la nuova Bianchi quattro cilindri di Costantini. Alla Coppa
Florio, che chiude la stagione agonistica sulle strade di Sicilia, Alfieri
insidia la Peugeot vittoriosa di André Boillot fino all’ultimo giro, quando
rimane senza lubrificante fra Caltavuturo e Polizzi. Cerca disperatamente una
soluzione d’emergenza, ma non trova nulla di meglio dell’olio d’oliva che non
gli permette di arrivare al traguardo.
L’affermazione di Maserati a Monza e quella altrettanto
importante di Meregalli al Circuito del Garda con la 20 alimentano le ambizioni
della Diatto, tanto da appoggiare Maserati nella costruzione di una macchina
speciale, mossa da un motore Hispano-Suiza a otto cilindri a V di 4,5 litri
profondamente modificato dalla Diatto stessa. Con questa vettura, Alfieri risulta
vittorioso alla Susa-Moncenisio, terza affermazione consecutiva che gli vale
la Coppa Principe Amedeo, e la domenica successiva alla Aosta-Gran San
Bernardo.
Durante il 1924 la Diatto 4,5 litri viene messa sovente
da parte, preferendole le più modeste cilindrate. Con la tre litri, anche
Ernesto Maserati inizia la propria attività di pilota, ottenendo un brillante
primo posto di classe alla Coppa delle Colline Pistoiesi. Al Gran Premio di San
Sebastian, disputato il 27 settembre sul circuito di Lasarte, Alfieri Maserati
sfiora un’occasione clamorosa. Con la Diatto 20 S mette scompiglio nella
coalizione composta da Bugatti, Delage e Sunbeam, fino a quando non è fermato
da noie al motore.
Il 1924 si chiude in modo chiassoso e polemico per
l’insorgere del “caso Maserati”. È una vicenda per certi aspetti assurda, che
trae origine dalla corsa in salita della Rebassada, nei pressi di Barcellona,
disputata il 25 maggio. Poiché la Diatto rivolge un forte interesse al mercato
spagnolo, Luigi Mora, che ne è l’agente locale, sollecita e cura l’iscrizione
di Maserati con una due litri. Per qualche motivo che non è stato possibile
accertare, ma di inspiegabile leggerezza, nella notte della vigilia Alfieri
sostituisce il motore con uno da tre litri. Ferdinand De Vizcaya, iscritto con
una Elizade otto cilindri 4,4 litri, viene a sapere in qualche modo
dell’accaduto – si dice informato da un sacerdote – e presenta reclamo.
A sette mesi di distanza, gli organismi internazionali
dell’automobile decretano una pesante squalifica di cinque anni per Maserati,
per Mora e per la Diatto. A seguito di un supplemento d’indagine, emerge
evidente l’estraneità della Casa alla vicenda e la sua squalifica è ritirata.
La Diatto può dunque riprendere l’attività sportiva, svolta inizialmente da
Ernesto Maserati con la due litri e da Carlo Lecot e Diego De Sterlich con la
4,5 litri.
Dalla ristrutturazione aziendale viene emergendo anzi il
desiderio di potenziare l’attività del 1925. Il Tipo 20 S si è dimostrato
brillante cogliendo molti successi, ma la Diatto vuole puntare ai Grand Prix
internazionali, per i quali vige la formula dei due litri e nei quali si è
affermata la sovralimentazione. Con questo obiettivo si delega Alfieri Maserati
allo sviluppo di un progetto adeguato.
Il punto centrale della nuova macchina è un motore a otto
cilindri in lega leggera con due assi a cammes in testa di 1.995 cc (alesaggio
e corsa mm 65,5x74). Nella fase sperimentale l’alimentazione è ottenuta con
quattro carburatori Zenith. In questa versione il motore viene installato su di
un nuovo telaio e prende parte alla Susa-Moncenisio del 5 luglio con Onesimo
Marchisio, capo collaudatore e già pilota della Fiat. Un mese più tardi la
macchina viene iscritta alla corsa della Maddalena, che è fatale a Marchisio vittima
di un ribaltamento.
Questa tragedia, oltre a intralciare il lavoro di messa a
punto, per il quale Maserati soggiorna spesso a Torino, pone la Diatto di
fronte al problema della mancanza di piloti. Si vocifera di un condono per
Alfieri, a condizione che la Casa partecipi alla corsa di San Sebastian, ma per
giungere a questo compromesso è necessario attendere la conclusione dell’anno.
L’unico
punto fermo della squadra è Emilio Materassi, buon amico di Alfieri. Per la
seconda vettura si fanno di volta in volta i nomi di Diego De Sterlich,
Rubietti e dello spagnolo Antonio Garcia. Tutto ciò prelude al Gran Premio
d’Italia del 1925, quando la preparazione della Diatto è ancora lontana da una
condizione accettabile. In pratica, vengono portate a Monza due vetture, di cui
una sola in versione definitiva con compressore Roots, capace di 150 HP a 5.200
giri/minuto, affidata al grande Materassi. Le auto iscritte, molto numerose al
Gran Premio, si riducono poco a poco a quindici partenti di cui, per le 2
litri, tre Alfa Romeo, due Duesenberg, una Guyot speciale e la Diatto. Nelle
1.500 di cilindrata, cinque Bugatti, due Chiribiri e una Eldridge.
La Diatto
è in quinta posizione dopo 50 km, dietro a tre Alfa e alla Duesenberg; dopo 100
km, la Diatto è ancora quinta. L’Alfa Romeo in testa, pilotata da Campari, gira
a 157,2 km/h di media; la Duesenberg di Milton in quarta posizione a 152,6;
Materassi sulla Diatto a 151. La sesta, una Bugatti 8 cilindri Tipo 39, gira a
138,4 km/h. Ciò a significare che, per la sua prima corsa, la Diatto 2 litri
sfiora i 200 km/h. Ma Emilio Materassi si ferma al box, riparte in ritardo per,
alla fine, abbandonare la gara dopo 400 km.
La Diatto 2 litri non si vedrà più, per riapparire evoluta
nel
1926 come Tipo 26 con il marchio del tridente e lasciare, con cento vittorie,
un segno indelebile nella storia dell’automobilismo.
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